A seguito dell’articolo di Max Baranet pubblicato la volta scorsa, nei Forum di FB è nata una piccola disputa sull’utilizzo della Hide glue per incollare i top o meno.
Secondo Max Baranet è stata utilizzata la Hide Glue.
Secondo Tom Bartlett, che dice di averne verificate alcune, una colla a base di formaldeide.
Ho preso un po’ di informazioni interpellando anche alcuni esperti di oltre oceano e sono giunto a questa conclusione.
Hanno ragione entrambi. La Gibson ha utilizzato, in linea di massima, Hide Glue per tutti i modelli sempre, in alcuni periodi di forte produzione (ad esempio nel 1959 per il lancio della Melody Maker) trovandosi in un momento di scarsità ha utilizzato l’altra colla.
Detto questo torniamo a noi: oggi parleremo dei Top in acero.
Per fare questo mi avvalgo della collaborazione dell’amico Mario Milan che ha pubblicato un bellissimo post su questo argomento, piuttosto in linea con quanto avrei scritto io, e questo mi farà risparmiare un bel po’ di tempo.
Quindi replico quanto riportato da Mario con i soliti appunti aggiuntivi:
L’estetica è importante, per qualcuno più che per altri, ma negli ultimi anni i sembra che sia diventata un’ossessione fuori controllo. E’ fuori controllo per due motivi: primo perché spesso sfocia nel kitsch, secondo perché troppo prevalente su altri parametri. Vale per molti settori, ma parliamo di chitarre..
La Gibson Les Paul Standard è indubbiamente la regina, in questo senso, perché alla praticità del corpo solido unisce la linea stile arch-top che le conferisce un ché di classico e una tavola frontale in acero figurato (di nuovo derivata dall’uso di questo tipo di legno nelle arch-top), che l’hanno fatta diventare uno strumento iconico per eccellenza.
Tali attraenti figure, nell’acero, dipendono dal tipo di pianta e dal taglio selezionato, per cui sono più o meno presenti e diffuse lungo la superficie della tavola in modo variabile, con figure più o meno regolari e più o meno in evidenza.
All’epoca la Gibson acquistava esclusivamente acero del Michigan, per un motivo molto semplice, era relativamente economico e facile da reperire perché proveniente da foreste vicine al luogo in cui sorgeva la fabbrica. Inoltre, secondo quanto detto da Ted McCarty in varie interviste, per le sue caratteristiche era preferito al tipo “hard rock” dell’ovest e alla varietà “birds eye”.
La varietà “birds eye” oggi è molto amata da alcuni e usata da liutai che vogliono stupire i clienti, ma né la Gibson, né la Fender ne facevano grande uso, dato che risulta meno stabile di altri tipi di acero e di conseguenza richiede una selezione più accurata (Leo Fender preferiva di gran lunga il tipo “hard rock” per i manici), quindi è piuttosto raro sulle Fender e non è mai stato usato dalla Gibson in epoca storica.
Il tipo “big leaf” del Michigan era scelto dalla Gibson perché un poco meno rigido del tipo “hard rock”, garantiva un’ottima chiarezza di suono senza eccedere in brillantezza, armonizzando meglio con il mogano su cui andava collocato.
Quando fu introdotta la Les Paul, ovviamente, non si acquistavano tavole specificamente per il nuovo modello, ma si utilizzavano quelle in uso per le arch-top selezionando le migliori per quelle chitarre. Dato che per il fondo di una L-5 o una Super 400 servono tavole piuttosto larghe, quelle con figure più consistenti ed estese erano selezionate per quella destinazione, quelle con figure visibili solo in una porzione tagliate per i meno ampi top delle Les Paul. Ovviamente la porzione meno figurata non veniva eliminata, ci si faceva un altro top, accadeva così che su alcune chitarre il top fosse in due sezioni con figure omogenee, una parte più “flamed” dell’altra, o entrambe “plain”.
La disponibilità di tavole “fiammate” per le les Paul, dunque, dipendeva esclusivamente dalle scorte derivate dalla produzione delle più prestigiose arch-top. Accadeva così che anche sotto la livrea dorata delle prime Les Paul potessero capitare tavole particolarmente vistose, “rivelate” quando si passò alla finitura sunburst trasparente.
C’è da aggiungere che probabilmente in un primo tempo si prestò meno attenzione all’aspetto estetico delle tavole, per cui si ha una maggiore percentuale di top figurati nel ’59 rispetto al ’58, ma dato che dipendeva dalla disponibilità in stock, una divisione netta per anno sembra artificiosa, la verità è che in ogni anno la maggior parte erano “plain” o con figure moderate. Non a caso nei libri dedicati alla Les Paul, le chitarre fotografate sono ormai sempre le stesse, dato che ognuno vuole inserire le più vistose.
Chi voglia farci caso noterà che le chitarre appartenute a musicisti famosi di solito sono di classe media o con figure moderate, quando non del tutto assenti, mentre le chitarre più vistose sono di collezionisti. Questo perché un degli elementi che hanno contribuito al mito è la relativa rarità, con una produzione totale di circa 1500 “Burst” (1712 tra 58/60 dalle quali ne abbiamo ricavate circa 1.100 togliendo Goldtop 58 e SG Style 1960 n.d.r.) non era facile trovarne una neanche negli anni sessanta, per cui un musicista appena ne trovava una la prendeva per usarla comunque fosse, mentre i collezionisti iniziavano allo stesso modo, ma poi procedevano per scambi o acquisti successivi fino a raccogliere le più “belle”, da tenere fino a quando non scatta il desiderio per una “ancora più bella”.
Il musicista tende ad affezionarsi allo strumento e vi entra quasi in simbiosi, il collezionista vive di amori temporanei e ogni affetto dura finché non compare all’orizzonte un nuovo oggetto del desiderio.
Le rock star sono una sorta di via di mezzo, hanno indubbiamente preferenze dal punto di vista dell’uso, ma le enormi possibilità finanziarie consentono di accumulare sfumando i confini fra musicista e collezionista.
Tutto questo finché alcuni criteri tipici de collezionisti non sono diventati prevalenti anche fra la gente comune.
Se prima si poteva dire “quanto mi piacerebbe avere il suono di Jimmy Page e una chitarra come la sua”, oggi la frase è cambiata in “voglio un suono alla Jimmy Page e una chitarra ancora più bella della sua, soprattutto la seconda cosa”.
I produttori, ovviamente, tendono ad assecondare le richieste del pubblico per incrementare le vendite, per cui la Gibson si è resa conto che per mantenere le quote di mercato doveva garantire alcuni elementi estetici anche in fasce relativamente basse, tanto che ormai non è raro che strumenti relativamente economici abbiano tavole frontali simili a quelle di modelli che costano tre o quattro volte di più.
Il paradosso è che, per amore di autenticità, a volte ci sono modelli “Custom Shop” con tavole meno vistose di quelle di normali modelli USA.
Personalmente devo dire che molte chitarre, di ogni serie, a volte hanno top definiti da molti “stupendi” che trovo semplicemente orrendi, artificiosi, di cattivo gusto, in alcuni casi che sembrano frutto di manipolazioni con photoshop, ma ovviamente è questione di gusti. Però c’è da dire che non amo, ad esempio, l’acero “birds eye”, lo trovo lezioso, eccessivamente salottiero, mi sa tanto di eleganza affettata da gentiluomo incipriato del ‘700, amante dei ghirigori nell’estetica come nel modo di vivere, ma piace a molti.
Ma parlavo inizialmente di estetica prevalente su altri parametri, perché ovviamente tutto ha un costo. Se devo selezionare le tavole in base a stringenti criteri estetici avrò un sacco di scarto, una volta tavole meno vistose ma di identica qualità potevano essere uste su modelli più economici, ma la corsa generalizzata alle “fiamme” riduce sempre di più tale soluzione, come faccio a compensare la maggiore spesa che ciò comporta? Semplice, risparmio su hardware e pickup, dato che la chitarra deve essere più guardata che suonata, la cosa non rappresenterà un problema.
La cosa ha funzionato al punto che la Gibson si è sentita autorizzata ad esagerare, coinvolgendo in tale filosofia anche i modelli Custom Shop, rivolgendosi soprattutto ai collezionisti di tali modelli, ossia gente che, non prevedendo di potersi mai permettere di collezionare gli originai, colleziona le riproduzioni. Alcuni collezionisti però suonano e anche ai musicisti non divenuti rock star servono strumenti di buona fattura utilizzabili sul serio, per cui almeno su alcuni dettagli la nuova amministrazione si è trovata a dovere correggere il tiro, sia pure parzialmente (rimango dell’idea che il picco nel rapporto qualità/prezzo la Gibson lo abbia raggiunto nel biennio 2013/2014, poi c’è stato un deciso crollo e vedremo se sarà confermato il promesso cambiamento di rotta).
Il problema consiste comunque nella pretesa di tutti di avere ciò che una volta era esclusivo, se invece di desiderare semplicemente una chitarra che suoni bene la voglio soprattutto fiammatissima come una top di gamma, pur avendo poco da spendere, al solo scopo di ostentarne la foto su FB, la concorrenza si concentrerà sugli aspetti estetici a scapito di quelli pratici per la semplice ragione che ogni aumento di costi da una parte verrà compensata con risparmi dall’altra. Se da un albero posso ricavare un certo numero di tavole ed utilizzarle tutte, avrò un costo, se dovrò usare solo quelle nelle quali il taglio evidenzia le figure (soprattutto se devo moltiplicare tale scelta per fare migliaia di chitarre), ne avrò uno più alto e da qualche parte cercherò di compensarlo.
Una soluzione ci sarebbe: se la priorità è l’estetica, per il costo di un buon set di pickup si potrebbe acquistare un album fotografico con tutte le originali più vistose.
Il post di Mario Milan ci rivela alcuni aspetti che sintetizziamo :
- Negli anni ’50 il top di gamma Gibson era costituito dalle archtop, le tavole migliori e più belle esteticamente erano riservate a quelle, quello che avanzava veniva utilizzato a cascata per i modelli più economici, Les Paul inclusa.
Ci sono stati momenti di forniture di acero di particolare bellezza ed allora ce n’era per tutti , vedi ad esempio le Les Paul ’59 delle serie 9 0600 e 9 2000, particolarmente ambite dai collezionisti.
- Mentre mogano e palissandro di qualità paragonabile ad allora oggi ce li possiamo scordare, l’acero è un tipo di pianta piuttosto diffuso in tutto il nordamerica ancora oggi, quindi la qualità utilizzata attualmente è paragonabile a quella di allora, magari si potrà obiettare che oggi venga essiccato artificialmente invece che in modo naturale e con tempi biblici, ma la qualità è quella.
- Se allora le tavole erano destinate prima ai modelli archtop, oggi la priorità va alle Les Paul.
- Nonostante tutto, questo non basta ad assicurare che i prodotti escano dalla fabbrica con le “fiamme dell’inferno” che scaturiscono dal Top.
Nel tempo sono state sviluppate tecniche di verniciatura (all’epoca sconosciute) che permettono di ottenere risultati strabilianti anche da tavole dal disegno mediocre.
Prendete ad esempio una Les Paul del 1994. In quell’anno il verniciatore era Tom Murphy, prima di andarsene da Gibson per aprire il proprio laboratorio e poi rientrare anni dopo con un contratto decisamente più interessante.
La sensazione che danno quelle chitarre verniciate da un maestro è palpabile, la differenza con quelle degli anni seguenti è evidente, come lo è il fatto che le tavole utilizzate in seguito sono della stessa qualità, ma la mano del verniciatore è ben diversa.
Nel 2003 ho visitato la fabbrica PRS e, a parte l’enorme delusione ricavata dal vedere che non c’era il ben che minimo processo manuale nella produzione, mi resi conto di come prodotti dal top piuttosto anonimo entrassero in verniciatura e ne uscissero con dei disegni spettacolari.
Lo stesso anno visitai l’atelier di un grande liutaio, famoso soprattutto per le sue archtop, che mi fece vedere la stessa cosa, una verniciatura corretta e accurata è in grado di esaltare tutte le sfumature dell’acero.
- Altre tecniche sono state sviluppate per i prodotti cinesi o le serie più economiche, come il Fotoflame, una sottile pellicola che si applica al top in compensato o in legno di basso pregio, oppure il laminato, un sottile strato di acero fiammato applicato sulla faccia più esterna delle chitarre costruite in legno laminato, soprattutto le ES (330-335-345-355-175, ecc.)
In conclusione possiamo affermare che oggi possiamo trovare chitarre superfiammate molto più facilmente che negli anni ’50, ad uso e consumo del popolo dei Babbani (cit. Harry Potter).
Alla prossima.
Furio Pozzi